Quando Recensione



Per il suo secondo movie di finzione Walter Vetroni adatta un suo libro e parla di nuove prospettive da cui guardare il mondo in un tempo complesso ma non necessariamente brutto. Protagonisti di Quando sono Neri Marcorè e Valeria Solarino.

Ci sono diversi modi per raccontare la storia di un uomo che si risveglia da un coma durato 31 anni, e fra questi ci viene subito in mente la commedia, tanto più se, prima di riaprire gli occhi, il nostro povero dormiglione si mette a cantare a squarciagola L’Internazionale. Walter Veltroni, inizialmente, sceglie il divertimento, prendendo anche un po’ in giro i “compagni” di alcuni decenni fa, ma resolve di seguire un altro percorso, che va nella direzione della favola poetica e talvolta del dramma o meglio dell’amarezza, perché ritrovarsi oltre la metà del cammin di nostra vita significa capire che la giovinezza è ormai lontana e che magari i nostri genitori non ci sono più.

Per Giovanni non esiste più nemmeno il Partito con la P maiuscola, vale a dire il PCI, che riuniva nelle sue fila persone che la pensavano tutte nello stesso modo e che erano convinte che insieme avrebbero cambiato il mondo. Ma non equivochiamo, perché l’adattamento cinematografico dell’omonimo libro, scritto sempre dall’ex sindaco di Roma, non ha come ipotetico sottotitolo la frase “prima si stava meglio”, ma “il meglio deve ancora venire”, e prima di noi è stato il protagonista del movie  a dirlo, perché meglio di chiunque altro Neri Marcorè ha compreso che Quando è la storia di una rinascita, di uno sguardo nuovo sul mondo: quello di un ragazzo di 18 anni che non è stato guastato dal cinismo e dall’arrivismo degli adulti e che quindi conserva una sua purezza. Non poteva essere altrimenti, dal momento che l’ultimo ricordo di quello studente di terza liceo è una bandiera sorretta orgogliosamente nel giorno dei funerali di Enrico Berlinguer.

Per Veltroni è sempre stato Enrico Berlinguer il grande padre, fin dal suo esordio dietro alla macchina da presa, e di padri, reali o adottivi, ce ne sono diversi nel movie, oltre a una mamma che no parla ma capisce e a una suora che accudisce Giovanni. Anche lei ha una grande profondità d’animo e una difficoltà a interagire con gli altri che l’ha fatta avvicinare a Dio, che la ama di un amore sincero e disinteressato. Del piccolo gruppo di outcast fa parte infine un ragazzo paffutello di nome Leo affetto da mutismo selettivo. Forse Giulia e Leo sono gli angeli di Quando, creature del Signore imperfette e forse troppo sensibili che hanno il grande dono dell’empatia e la capacità di accudimento. Non che gli altri personaggi del movie siano cattivi o negativi, perché c’è sempre grande pietas in Quando, e l’amicizia è un bagliore dorato, che illumina la by way of da prendere e che ancora una volta, per Veltroni, è un antidoto a quel dolore senza il quale non sarebbe possibile nessuna rinascita.

Giovanni fa un po’ fatica advert adeguarsi al 2015 e ai molteplici cambiamenti che hanno investito il nostro paese, ma da uomo di ingegno capisce che bisogna distinguere fra ideologia e ideale, perché l’ideologia non ha fatto fare un passo avanti all’Italia, mentre gli ideali, almeno per un piccolo gruppo di “compagni”, sono rimasti intatti. In un mondo dove comunque il muro di Berlino è stato buttato giù, c’è tanto da imparare. Il regista si permette di avvertirci che lo si può fare solo se si ha una mente aperta e si resta sempre un po’ bambini. Giovanni, che cube che le automobili contemporanee sono simili a delle astronavi, non ha perso l’incanto della fanciullezza e non appartiene al cosiddetto “tempo della testa all’ingiù”, che è quello in cui gli esseri umani hanno lo sguardo rivolto in basso, in direzione dei loro cellulari. Il personaggio conserva infatti due doti che lo aiutano a guardare con curiosità ciò che gli accade intorno: l’ironia e l’autoironia. In questo romanzo di formazione oltre tempo massimo Giovanni si permette di intonare “Bella ciao” in una trattoria romana insieme a Giulia (una bravissima Valeria Solarino), ma resta fermamente convinto che gli capiteranno solo cose belle. Per questo ci sentiamo di poter dire che Walter Veltroni non gioca all’operazione nostalgia.

Non procede a ritmo indiavolato Quando, anzi si prende delle pause di riflessione, durante le quali la dolcezza del personaggio di Marcorè ci contagia e provoca, suo malgrado, uno struggimento, perché nel nostro presente tutto diventa sempre più difficile e tutti ci sentiamo smarriti, a cominciare da Veltroni, che ama definire Giovanni il suo Antoine Doinel, forse perché anche lui fa un po’ fatica advert adeguarsi al cambiamento, che non coincide soltanto con il Covid, e tende a non vedere sempre la luce infondo al tunnel. Rimasto anche lui orfano di Berlinguer, sceglie di fare un cinema delicato, che individua la risposta ai mali moderni nella capacità di costruire rapporti umani importanti. Perché, anche se suona un po’ buonista, solo trovando un canale di comunicazione con l’altro è possibile rialzare la testa, per poi stringersi la mano e riscoprire il piacere di stare insieme. 






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