Maestro Recensione



La vita del grande direttore d’orchestra e compositore Leonard Bernstein è raccontata in Maestro da Bradley Cooper, anche protagonista insieme a Carey Mulligan. La recensione di Mauro Donzelli del film presentato in concorso a Venezia.

Un’icona della musica, Leonard Bernstein, che ha attraversato il secolo fino a diventare il primo vero grande direttore d’orchestra americano. Personaggio anche eccentrico, brillante, “un uomo gay che si è sposato”, come lo definì un suo collega. E proprio la storia del suo matrimonio con l’attrice Felicia è raccontato in Maestro, titolo non proprio grondante originalità del biopic diretto da Bradley Cooper, che lo ha anche interpretato insieme a Carey Mulligan. Nato inizialmente come progetto per Martin Scorsese, poi rimasto come produttore al fianco di un altro mostro sacro come Steven Spielberg, conferma se non altro la passione per la musica dell’attore ora anche regista, che aveva debuttato dietro la macchina da preso con un’altra grande storia d’amore con la musica al centro come il remake di È nata una stella, A Star is Born. Un film sostenuto da un sorprendente carisma di Lady Gaga.

Questa volta abbandona il capello lungo e ribelle del “dannatismo” rock del film precedente per una tanto discussa – risibilmente – protesi al naso e un lavoro intenso sull’epidermide per restituire la carnagione del protagonista di questa vicenda, che si ostina a procedere in ordine cronologico e con tappe lineari, come una via crucis, nel partire dall’inizio alla fine del rapporto fra i due. Un tema forte della sceneggiatura dovrebbe essere (anche) il concetto stesso di verità, parlando di un musicista e come tale ossessionato dall’assenza di artificio nelle sue composizioni, così come nel suo lavoro di coordinamento di un’orchestra, considerando la costrizione sociale a vivere la propria sessualità nel privato, conciliandola con l’amore per la moglie e i tre figli. Formalmente parte con un bianco e nero che si permette qualche incursione fra musica e vita reale, per poi consolidare insieme al legame fra i due protagonisti anche la tradizionale scansione in tappe del loro rapporto, questa volta a colori.

Quando la grandezza di un personaggio raccontato per due ore scarse non emerge dopo la visione, allora vuol dire che qualche problema ci deve essere, in un racconto scolastico e privo di motivi di particolare interesse, che annulla o quasi la biografia personale di un uomo che ha attraversato il secolo breve lasciando tracce importanti. Nonostante il palese lavoro sia attoriale – vedi lo sforzo per avvicinarsi alla voce di Bernstein – che dietro la macchina da presto, Maestro si fa seguire con un’attenzione distratta, risvegliata da qualche momento in cui è Carey Mulligan a salire in cattedra e qualche emersione in superficie del melodramma.

Non siamo molto oltre all’esame del rapporto fra arte e vita, senza particolare variazione sul tema rispetto a quanto molte altre volte raccontato in film del genere quasi fotocopia. Bradley Cooper si applica, come un bravo scolaro appassionato. Forse la complessità del doppio lavoro, dietro e davanti alla macchina da presa, oltre a un talento non illimitato, non aiutano a tramutare queste buone intenzioni in un film di particolare interesse.





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