La ardour de Dodin Bouffant Recensione


Una cucina meravigliosa, pentolame di rame da morire di invidia, piatti pesantissimi (la cucina francese è tutta grassi e fondi di cottura) e una storia d’amore che, lo sappiamo, andrà a finire in un certo modo. La recensione di La ardour de Dodin Bouffant di Federico Gironi.

A pochissimi minuti dall’inizio di La ardour de Dodin Bouffant pensavo con insistenza a due cose: la prima a quanto invidiavo quella cucina, e quello splendido pentolame di rame, che si vedono nel movie: la seconda è che mi pareva di sfogliare un libro di Mimi Thorisson.
Se per caso vi steste chiedendo chi è, Mimi Thorisson è una ex modella franco-cinese che, dopo essersi sposata con un fotografo islandese, è andata a vivere coi figli e coi cani in uno chateau della campagna francese uguale a quello del movie di Tran Anh Hung, ed è diventata una famosa meals blogger, e autrice di libri di ricette e sul cibo pieni zeppi di fotografie che pare quasi siano state prese a modello, ricalcate per questo movie.
Cercate il suo Instagram, o i suoi libri, e vi farete un’concept.

Il Dodin Bouffant del titolo è stato un grande gourmand e chef francese di tremendous Ottocento. Almeno nel romanzo di Marcel Rouff, che nel 1924  lo ha fatto uscire dalla sua penna, e che è stato alla base di questo movie.
Un libro e un movie che raccontano non solo dei menù di Dodin Buffant, di materie prime e preparazioni, di vecchie stufe a legna e di brodi, stufati, arrosti, consommé, vol au vent e vini bianchi o rossi ma comunque raffinatissimi, ma che raccontano dell’amore tra Dodin Bouffant (Benoît Magimel) e Eugénie (Juliette Binoche), la donna che per vent’anni è stata la sua cuoca e il suo braccio destro e che, nel tempo, è diventata anche la sua amante, e il suo grande amore.
E così, tra polli e carré di agnello, ostriche e omelette norvegesi, rombi e verdure di ogni tipo, La ardour de Dodin Bouffant ci parla con toni un po’ manierati e vagamente sdolcinati di questo amore, del sogno di Dodin di sposare Eugénie, ma anche della misteriosa malattia di lei, che rischia di minare la felicità e l’equilibrio che hanno raggiunto.

Lo spettatore avveduto qui ha probabilmente già capito lì dove il movie vada a parare, anche se ancora non ho accennato che all’inizio del movie si vede anche una ragazzina, nella cucina di Dodin e Eugénie, che è destinata a diventare la nuova apprendista di Dodin, e al fatto che qui il cibo, e il vino, non sono solo ragioni di vita, ma la vita tout courtroom.
Aggiungiamo magari a questo che Tran Anh Hung gira con una sola macchina da presa che dondola lentamente attorno a piatti e protagonisti, e che lascia che l’unica colonna sonora sia lo frigolare dei grassi, il sobbollire dei brodi, delle salse e dei fondi di cottura, il rumore delle foglie scosse dal vento e il cinguettare degli uccelli.

Se però a La ardour di Dodin Bouffant si tolgono le scene di cucina, di preparazione e di consumazione dei piatti, e si toglie il fatto che vedere recitare Magimel è sempre un piacere, al movie di Tran Anh Hung rimane davvero pochissimo. In termini di minutaggio – per fare un esempio, nei primi 35 minuti non si vedono altro che preparazioni e consumazioni – e in termini di contenuto.
Alla tremendous l’impressione è davvero quella di aver sfogliato un libro di Mimi Thorisson, mentre però ascoltavamo distrattamente qualcuno che ci raccontava la trama di una storia d’amore destinata a finire male, e a una vita che deve continuare grazie e con la passione enogastronomica.
Se qualcuno debole di stomaco dovesse poi cercare un aiuto per la digestione, non è per la cucina (pur francese, quindi pesante), ma più per certi zuccheri, nemmeno poi eccessivi, del mélo.





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